23 marzo 2008

Eppur si muove...

Forse che forse la giustizia sta per fare qualcosa di furbo? O verrà archiviato tutto?

http://www.cuneocronaca.it/news.asp?id=7881&typenews=primapagina
Molini Cordero, due indagati per l'esplosione che costò la vita a 5 operai: 8 mesi di accertamenti evidenziano che la tragedia poteva essere evitata
SI TRATTA DI PADRE E FIGLIO, AMMINISTRATORE DELEGATO E PRESIDENTE DEL CONSIGLIO AZIENDALE. ESCLUSE RESPONSABILITA' PER LA DITTA CAVICCHIOLI

ANTONELLA GONELLA - Dopo 8 mesi di indagini arrivano le prime risposte per i Molini Cordero: la tragedia che è costata la vita a 5 operai poteva essere evitata. Lo sostiene la Procura di Cuneo in seguito alle analisi tecniche di esperti e personale dell’Asl.
Risultano indagati i due maggiori responsabili della ditta, Dario e Aldo Cordero, Amministratore delegato e Presidente del Consiglio di Amministrazione. Padre e figlio, secondo l’ipotesi accusatoria esposta dal Procuratore capo della Repubblica di Cuneo, dott. Alberto Bernardi, dovranno rispondere di omissione dolosa di misure antinfortunistiche, crollo e incendio colposo, omicidio colposo plurimo.
Le responsabilità penali, da verificare in sede giudiziaria, emergono dai lunghi accertamenti effettuati presso la struttura dal personale dello Spresal di Fossano, facente capo all'ex Asl 17, e dal consulente tecnico nominato dalla Procura, ing. Adriano Gerbotto. E' invece stato escluso ogni coinvolgimento della ditta di Antonio Cavicchioli: l’operaio, successivamente deceduto assieme ai colleghi in seguito alle ustioni riportate, non aveva, all’atto della deflagrazione avviato alcuna attività di manutenzione. “Verosimilmente – spiega il sostituto procuratore della Repubblica, dott. Marco Sanini, titolare dell’indagine – si trovava nello stabilimento per prendere accordi sui successivi interventi da effettuare, come dimostrerebbero gli attrezzi e strumenti da lavoro ritrovati sul furgone parcheggiato nel cortile dei Molini”.

E’ invece al vaglio degli inquirenti l’eventuale responsabilità a carico di una seconda ditta, incaricata della valutazione del rischio di formazioni esplosive all’interno dei Mulini, in ottemperanza alla normativa introdotta nel giugno 2003 che prevedeva l’adeguamento delle unità produttive entro e non oltre il 30 giugno 2006. Misure di protezione e prevenzione che risulterebbero però deficitarie, come riscontrato dai controlli in seguito effettuati nella struttura fossanese.

Questo per quanto riguarada le responsabilità. Ma che cosa è successo il 16 luglio 2007 negli stabilimenti di via Paglieri? “Dare una risposta a famiglie e collettività in merito all’accaduto è il miglior modo per esprimere il cordoglio nei confronti delle vittime”. A parlare è ancora il dott. Sanini che aggiunge: “All’indubbia componente incidentale si aggiunge in questo caso una generalizzata sottovalutazione del rischio di esplosioni connesso alla lavorazione della molitura dei cereali. Proprio la trasformazione da grano a farina comporta di per sé un forte potenziale detonante”.

Prima dell’enorme deflagrazione, seguita in rapida successione dal crollo parziale dello stabilimento e dall’incendio, erano in corso le operazioni di ripompaggio della farina caricata in eccedenza su una cisterna. Il materiale in eccesso veniva reimmesso in uno dei silos tramite trasporto pneumatico, una manovra che ingenera il formarsi di cariche elettrostatiche per lo strofinio della farina contro le pareti del condotto. “Mancava però il previsto sistema di messa a terra della cisterna: questa è la prima carenza imputabile ai rappresentanti della ditta”, continua il sostituto procuratore che definisce l’intera operazione “imprudente, ma non per colpa dell'operaio che non aveva alternative per effettuarla”.

Non solo: “La farina scendeva dal condotto a getto continuo, senza un adeguato sistema di decantazione, generando un movimento turbinoso in grado di accentuare l'eventuale presenza di cariche elettrostatiche. Mancava inoltre un sistema di sfiato del silos destinato ad accogliere il materiale e le stesse tubazioni metalliche interne alla struttura erano, a loro volta, prive di messa a terra. Assente anche un allarme sonoro o un congegno per lo spegnimento e un’adeguata separazione dei locali capace di limitare le conseguenze di deflagrazioni. Prescrizioni che, in parte, non erano indicate nel verbale redatto dalla ditta incaricata di valutare il rischio di esplosioni. Di qui il vaglio di eventuali responsabilità”.

In tutti i locali sono inoltre stati ritrovati polvere di farina sparsa e macchinari in cattivo stato di manutenzione.
Queste le condizioni che potrebbero aver contribuito alla tragedia. Mario Ricca si trovava a fianco della cisterna quando è stato ucciso sul colpo dall’esplosione. Tutti ustionati in maniera grave i quattro colleghi di lavoro. In una tragica catena di lutti moriranno a pochi giorni di distanza da quel 16 luglio anche Valerio Anchino che si spegne il 27 luglio, Massimiliano Manuello il 28 luglio. E poi Marino Barale e Antonio Cavicchioli: per loro, stante la minore gravità delle lesioni riportate, le speranze di salvezza sono drasticamente disattese il 29 luglio e il 3 agosto. Barale in particolare è l’unico per cui si può ricostruire l’esatta posizione all’atto dello scoppio: si trovava nel locale magazzino dello stabilimento. In parte protetto dal carrello sul quale sedeva, veniva investito dall’onda di fuoco in un tempo successivo ai compagni, in seguito al crollo delle finestre che separano l'area dal locale fariniere.

Adriano Gerbotto, presidente dell'Ordine degli ingegneri di Cuneo e membro della Commissione Nazionale grandi rischi, ricostruisce nel dettaglio gli eventi: “L’operazione di scarico della farina eccedente dalla cisterna è l’unica manovra effettuata pneumaticamente, ossia tramite spinta di aria compressa, nello stabilimento. Quindi l’unica che può aver generato cariche elettrostatiche. In alternativa è possibile la scintilla originata da uno dei motori non a norma. Ma a far propendere per la prima ipotesi è un rigonfiamento trovato nel condotto che riporta la farina nel silos, condotto che conserva molta polvere condensata a formare un tappo ai due lati. Di qui è partita la deflagrazione che ha investito la struttura causando l’apertura dei muri, realizzati in un misto di pietre e mattoni, e il crollo di parte dell’edificio”.

Altra storia per la seconda esplosione avvertita da molti dei testimoni: “E’ imputabile – spiega Gerbotto – alla cisterna. Ed è sicuramente successiva: le fiamme hanno invaso la cabina del mezzo causando poi lo scoppio. Al momento della deflagrazione però in zona stavano già accorrendo i soccorritori e i danni sono comunque stati limitati ad una tettoia e ad alcune strutture esterne”.

“Paradossalmente erano state prese precauzioni contro incendi e incidenti sul lavoro, mentre era sottovalutato il rischio di esplosioni che in questo genere di lavorazioni è prioritario. La deflagrazione non a caso ha divelto e scagliato a metri di distanza le porte tagliafuoco installate nei locali, che non hanno resistito all’onda d’urto”.

Il Procuratore capo, Alberto Bernardi: “Questo l’esito delle indagini che, svolte in un tempo breve, hanno permesso di fare chiarezza su uno degli incidenti sul lavoro più gravi, non solo per la Granda, ma anche a livello nazionale. Accertamenti tecnici, quelli effettuati, complicati dalla necessità di rimuovere macerie e esplorare la struttura completamente distrutta, senza alterare possibili indizi necessari alla ricostruzione dei fatti. Da due anni questo ufficio ha istituito gruppi speciali che si occupano di infortunistica sul lavoro e malattie professionali. Materie complicate e delicatissime, che purtroppo vedono il nostro paese coinvolto in un escalation continua di episodi, tutti gravissimi”. E il parallelismo tra l’incierdente di Fossano e quello, di pochi mesi successivo, delle acciaierie Thyssenkrupp di Torino è quasi obbligato.

“Le leggi – dice Bernardi - ci sono: l’Italia è dotata di una delle normative antinfortunistiche più avanzate attualmente in vigore. Purtroppo manca la volontà di rispettare le prescrizioni: in caso contrario la fatalità sarebbe probabilmente l’unica causa di morte sul lavoro nel territorio nazionale”.


Antonella Gonella